Giocare disturba?

Al caro lettore che si appresta alla lettura di questo articoletto, devo prima di tutto delle scuse.
Mi scuso perché di mestiere da ormai oltre trent’anni farei l’avvocato, sforzandomi di farlo alla meno peggio, possibilmente poco azzeccagarbugliando. E non nascondo che in questi trent’anni spesso ho parlato non proprio tanto tanto bene dei giudici. Anzi, a dire la verità, spesso ho parlato male di loro e qualche bestemmiola mi è anche scappata.

La cosa ultimamente si è complicata. Perché sono diventato giudice anch’io e così adesso devo moderare certi giudizi nei confronti della categoria. E poi questi cari amici delle Edizioni VivereIn hanno pubblicato addirittura un mio libretto, Lo sport valore di promozione umana, tra diritto allo sport ed etica per lo sport. Ed allora, con queste premesse, va a capitare proprio davanti ai miei occhi un articolo di un quotidiano: “Troppo rumore, il giudice chiude il campo dell’oratorio.”

Troppa curiosità a volte guasta: dopo la lettura, mi sono procurato la sentenza. 
La bellezza di diciannove pagine. Quasi un saggio in materia di immissione rumorose, con riferimento al regolamento sulle attività commerciali notturne, quello che riguarda la c.d. “movida” (?), con tanto di consulenza tecnica per stabilire la compatibilità del rumore ambientale con i limiti previsti dal piano di zonizzazione acustica comunale.

Oh, guardate che non sto scherzando: sentenza del Tribunale di Palermo del 05.12.2019.
Veramente tecnicamente sarebbe una “ordinanza”, non una sentenza; ma possiamo sorvolare perché non cambia nulla ed a voi non penso che la differenza importi granché. Però adesso questa storia ve la devo raccontare. In effetti la sto già raccontando. Lo faccio perché – ed ecco la ragione delle scuse – viste le premesse che ho fatto prima, purtroppo non ho potuto imprecare in maniera adeguata nei confronti di chi ha scritto questa sentenza. Era, diciamo, sconveniente ed inopportuno. Ed allora, scusatemi, vi racconto il fatto, così vediamo se mi aiutate un po’ voi, grazie.

Un paio di condomini, proprietari di appartamenti che si affacciano sul cortile di un Oratorio, citano in giudizio una Parrocchia lamentando che “raduni ludici e sportivi sul cortile, con l’impiego di molteplici palloni da gioco ed impianti amplificatori, rendono insopportabile la permanenza domestica”. Indicano sette date, sette – ripeto, sette giorni – nel corso dell’anno in cui addirittura – sì, addirittura – si sarebbero organizzate manifestazioni sportive facendo persino uso di trombette da stadio!
In ogni caso, a parte questi sette giorni – dicono questi condomini – non è normale che devono subire “continui ed insalubri tonfi dei palloni impiegati in modo disordinato per giocare a calcio, a pallavolo e a basket”. Il danno subito, insomma, sarebbe talmente grave ed irreparabile per la loro serenità psicofisica da rivolgersi al giudice per chiedere “provvedimenti cautelari atti a ricondurre entro i livelli di tollerabilità le immissioni denunciate”.

Bel problema. E come si fa? Si sequestrano e forano tutti i palloni? E se li comprano di nuovo? Si sequestra il campo? E no, mica per impedire il gioco rumoroso sarebbe giusto limitare completamente l’utilizzo dell’area! Meglio vietare il gioco.
Veniamo al dunque. Ecco cosa stabilisce la sentenza: “divieto di qualsiasi attività ludica che implichi l’impiego di palloni in assenza di porte da gioco regolarmente munite di reti e distanti almeno un metro e mezzo dalle pareti dell’oratorio, in modo da evitare che le pallonate rimbalzino in modo rumorosissimo contro esse; barriere perimetrali in gommapiuma intorno al campo, per evitare il medesimo effetto; limitare la pratica ludica ad un solo sport per volta; vietare l’utilizzo di impianti di amplificazione compreso il megafono; limitare il gioco del basket ad una sola volta la settimana; in ogni caso, limitare l’utilizzo degli spazi tre volte a settimana (lunedì, mercoledì e venerdì) e mai oltre le 21.00.”
Ah, con la soddisfazione dei parrocchiani frequentatori delle attività liturgiche, perché almeno queste sono “fatte salve”.

Con la tristezza, invece, della vicinissima casa di cura, anch’essa affacciata sul cortile, che è intervenuta in giudizio schierandosi a favore della parrocchia attestando che “le attività ludiche svolte sullo spiazzo, lungi dal dare disturbo ai pazienti, allietano piuttosto il loro umore distraendoli al punto che le attività costituiscono risorse fondamentali nel percorso terapeutico dei pazienti perché riescono a distrarli dal pensiero continuo della malattia ed a consentire loro di sperimentare una partecipazione alla vita che spesso il confronto costante e quotidiano con la loro patologia gli nega.” Tristezza perché il giudice ha condannato la casa di cura al pagamento delle spese processuali per “aver agito senza alcun interesse giuridico valido”.

Be’… su, dite la verità, non vi scappa poco poco una parolaccia? Piccola piccola? No? Ed allora siete sicuramente dei santi. Del resto, non c’era da aspettarsi altro dai lettori di questa bella rivista.
Pensateci un attimo. Pallone vietato. Giocare disturba. Un oratorio senza pallone e senza gioco. Un po’ come portare i ragazzi in gita ma privarli del sacco della merenda.
Però, avete idea di quanti oratori ci sono in Italia? Ve lo dico io: più di ottomila, prevalentemente al Nord e sorti in contesti urbani difficili. Quasi un oasi di accoglienza in territori complessi, spesso tra periferie a rischio ed edifici anonimi.

Insomma, questa sentenza può costituire un precedente importante e che, oltre a provocare questa mia occasione per ridere e scherzare (solo perché certe volte l’ironia, rispetto a vicende paradossali, stempera le negative aggressività in ilarità riflessive. Ehi, questa cosa non la dico io; mi pare la spiegasse un certo signor Freud, che mi pare si occupasse di psicanalisi, parlando della sua teoria del “motto di spirito”. Andatevela a studiare, che non vi posso scrivere tutto qua), si offre come interessante motivo di dibattito culturale sul ruolo del gioco, dello sport, degli oratori, occasioni di sane relazioni giovanili, formidabili strumenti educativi.

Lo sport, nel suo essenziale contenuto di gioco, specie nei più giovani, costruisce importanti momenti di solidarietà, di partecipazione, di responsabilità, di impegno comune, di relazione e prossimità con altri.
Se il gioco, il sano gioco in un ambiente protetto, contribuisce a formare ed educare i giovani, quel gioco non può mai disturbare.
Nella comparazione degli interessi da valutare, se sul piatto della bilancia si confrontano da una parte la gioia ed il valore educativo del gioco, anche con tutti i suoi palloni che rimbalzano, schiamazzi e trombette occasionali presenti fin dal 1964 (!), dall’altra parte la quiete di qualche condomino che improvvisamente si ritiene disturbato; ebbene, mi permetto di ritenere ben più pesante il primo piatto.

Ma il giudizio mio personale non conta un bel niente; ben più importante il vostro, quello che vale a formare una comune coscienza sociale. Pensateci. E poi adoperatevi, nel vostro quotidiano, nel vostro piccolo, a far prevalere quel piatto della bilancia.

Badate bene. Sullo sfondo, ben oltre la mia ironia, un confronto tra due diverse posizioni soggettive di rilievo costituzionale: quella della parrocchia a svolgere la propria attività pastorale educativa creando momenti di aggregazione giovanile e quella dei residenti a godere serenamente dei propri ambienti familiari.
Fa impressione che una roba del genere arrivi davanti ad un giudice e che, invece, non si risolva davanti ad un tavolo diverso, impiegato non per scambiare atti giudiziari ma strette di mano dialoganti e pacificatrici in cerca di comuni soluzioni.

Ah, la sentenza è stata impugnata. Ci sarà un nuovo giudizio, che mi risulta ancora in corso.

Palla al centro, si ricomincia: è finito solo il primo tempo, non la partita. Che poi, la partita della sfida educativa, quella che – perché no – utilizza come strumento anche il gioco, quella non finisce mai.

 

Pubblicato in “Vivere In”, numero speciale, 1 – 2, 2020, pagg. 46 ss.