Coronavirus e nuove generazioni alla prova.

L’emergenza da “corona virus”, in un susseguirsi di notizie, statistiche, smentite, rettifiche, norme di legge e regolamenti ministeriali, sta mettendo tutti a dura prova.
Insofferenti e quasi recalcitranti ad ogni tipo di restrizione delle nostre libertà, lasciamo emergere la nostra genetica ricerca di scorciatoie ed accomodamenti ogni qual volta la vita sociale ci imporrebbe quantomeno prudenza. E così, restii a subire le limitazioni che già il buon senso suggerisce, prima ancora che norme emanate dalle autorità competenti ordinino, ci spostiamo e viaggiamo, addirittura quasi fuggendo; ci riuniamo in gruppi come se niente fosse; ci sediamo comodamente al bar profittando della chiusura di scuole ed università; ne approfittiamo anche per un prosieguo di settimana bianca, con code da piena stagione agli impianti di risalita; frequentiamo luoghi ed esercizi pubblici senza che ve ne sia ragionevole esigenza; stazioniamo, insomma, in gruppi nonostante ogni contrario prudenziale avvertimento ed ordine.
Inutile negarlo: la nostra generazione può dirsi fortunata.
Viviamo in un paese meraviglioso, meta di turisti affascinati provenienti da ogni parte del mondo.
Viviamo con i vantaggi della modernità.
Viviamo decisamente bene, nonostante i problemi sociali non manchino.
Di certo non abbiamo conosciuto, come molti dei nostri genitori e tutti i nostri nonni, gli enormi disagi della guerra e le fatiche della ricostruzione.
La guerra sì, la conosciamo: quella fatta e sparata in televisione, con bombardamenti trasmessi in diretta e tanto di commenti da parte dei cronisti e che ci lascia comunque dormire tranquilli, perché, tanto, quegli spari non possono colpire noi.
Le uniche tragedie che ci hanno riguardato più direttamente perché più vicine, sono state causate da terremoti, frane e crolli, tragedie tuttavia limitate a zone specifiche e mai estese all’intero territorio nazionale.
Epidemie? E chi le conosce, per fortuna, nel nostro mondo occidentale? Non certo noi, figli della modernità. Qualcuno, tra cui chi scrive, ricorda appena di essere stato vaccinato a causa del colera del 1973, con gran soddisfazione per la stagione balneare proseguita fino a novembre in ragione della ritardata apertura delle scuole.
Forse è per questo che, noi delle generazioni dagli anni ’60 in poi, siamo poco abituati a soffrire ed a limitarci. Nella ordinarietà siamo anche poco propensi a tenderci la mano, relegando le solidarietà agli stati di necessità conclamati.
Senza voler offendere nessuno, ogni qual volta veniamo messi alla prova; ogni qual volta dovremmo far prevalere senso del dovere, responsabilità, reale comune vicinanza solidale; ogni volta, ci mostriamo del tutto incapaci e soprattutto irresponsabili. Ci serve sempre qualcuno che ci richiami all’ordine, magari prospettandoci in maniera quasi elementare le situazioni.
L’atteggiamento assunto da molti di noi in occasione dell’emergenza attuale appare particolarmente grave per l’indifferenza manifestata rispetto non solo alla sottovalutata facilità di diffusione del contagio, ma rispetto al rischio della morte, evenienza con troppa faciloneria attribuita alle persone più anziane.
Anche se così fosse – ma sembra che non sia così – non saremmo certo giustificati, appalesandosi in tal caso l’incapacità, forse ancora più grave, di aiutare ed assistere i più deboli, quelli che peraltro hanno contribuito alle nostre crescita, vita, sviluppo.
Insomma, negli ultimi tempi abbiamo dimostrato una profonda indifferenza rispetto al corretto vivere sociale, al vivere politicamente. Come se la nostra vita possa avere autonoma ragion d’essere, avulsa dal contesto storico comune nell’ambito del quale, invece, nasce e si sviluppa.
Sempre alla ricerca della nostra soddisfazione e dei nostri interessi personali, non indirizziamo lo sguardo sul comune destino che ci lega l’un l’altro. Trascuriamo come il vivere politicamente non significhi tanto l’esercitare il diritto di voto, quanto l’esercitare comuni responsabilità guidati da un ethos che guardi anche oltre la storia umana ed i nostri piccoli appagamenti individuali.
Il vivere cui le nostre generazioni vanno educate è quello della cooperazione dialogica, che si sostanzia nell’affrontare la quotidianità lasciandosi ispirare dal lògos , principio di armonia universale, unico in grado di superare le prove, anche quelle dure e dolorose, che appartengono alla storia dell’umanità ma che vanno superate.
L’emergenza che stiamo vivendo ci chiama ad una di queste prove, importante e difficile. Quasi fosse un esame di maturità collettivo cui mai finora l’attuale generazione era stata sottoposta. Un esame da affrontare riscoprendo il profondo significato del vivere politicamente e che, se non superassimo, ci condurrebbe alla tristezza della solitudine più profonda e senza fine, contraria alla stessa natura umana.
Riscopriamo, invece, in occasione di questo male, il male del “corona virus”, il bene vivere, il vivere eticamente.
(pubblicato in “Vivere In”, numero speciale, 1 – 2, 2020, pagg. 10 e ss.)
