Dazi ed altre follie

A leggere le cronache degli ultimi mesi, qualche profano buontempone giocherellone come chi sta scrivendo potrebbe arrivare addirittura ad ipotizzare che, delle due, una: o che il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, girovagando di qua e di là sul web, sia incappato nell’ascolto della canzone – o, meglio ancora, del relativo video Volevo essere un duro, che sta spopolando non solo in Italia dopo il Festival di Sanremo e l’Eurofestival, oppure che il suo autore, Lucio Corsi – del tutto sconosciuto ai boomers come lo scrivente -, quantomeno per il titolo della sua canzone si sia ispirato proprio all’attuale regista e sceneggiatore del “sogno americano”.

Immagini dal video “Volevo essere un duro”, di Lucio Corsi

Cos’altro potrebbe pensare, il profano, di uno che esplode quotidiane esternazioni, tra desideri rivoluzionari, manie di grandezza, dichiarazioni umorali che si contraddicono a distanza di pochi giorni e spropositate banalità date in pasto ai suoi sostenitori? Che poi, in fondo a sorprenderci non sono certo questi ultimi, che devono avere evidentemente un patrimonio genetico compatibile con quello del loro Presidente, quanto i suoi oppositori.

Le modalità con le quali il caro e beneamato tycoon affronta ogni questione in agenda, comprese le più delicate, anche inerenti i rapporti tra Stati, appaiono invero puerili se non addirittura risibili. Purtroppo non provengono da qualche occasionale barzellettiere o cabarettista d’altri tempi o pagliaccio circense, ma dal potente inquilino della Casa Bianca.

Ma è mai possibile – ci chiediamo – che negli U.S.A., a differenza che nelle altre parti del mondo terrestre conosciuto, non certo ultima la nostra beneamata italica Patria, non ci sia un qualche serio oppositore che smascheri trucchi comunicativi ed accusi le follie globali poste in essere da Trump? E finanche tra i suoi collaboratori, sul presupposto che – almeno in questo confidiamo – ve ne sia qualcuno non del tutto sprovveduto (oh, che parliamo degli Stati Uniti d’America, mica di uno tra quei poveretti sciagurati Paesi del Terzo Mondo, dove hanno ben altro cui pensare per mandare avanti la baracca, più che progettare resort a Gaza, minacciare di prendersi Canada, Panama e Groenlandia, litigare con Cina ed Europa, flirtare con la Russia,  lanciarsi nel “toto – pontefice”, proporsi come Gran Mediatore di ogni Conflitto Terrestre ed Extraterrestre, salvo offendersi perché i suoi tentativi maldestri e strampalati, in barba ad ogni minimale protocollo di relazioni internazionali, vengono riposti nel cestino; magari smentendo e correggendo le fantastiche esternazioni un giorno sì e l’altro pure), possibile che non vi sia chi, quantomeno strategicamente o per partecipazione di conoscenza, illustri a modo di bugiardino le controindicazioni della medicina che il medico Trump propone al suo Paese malato?

E che gli U.S.A. siano da tempo un paese malato e decadente lo afferma finanche il medico Trump, che gli prescrive ricette miracolose. Quello che non è tanto tanto chiaro – ma solo perché chi sta scrivendo, giova ripetere, è un ignorante profano – è se questo medico sia effettivamente Donald Trump, proprio lui, personalmente in persona (per dirla alla Totò), Presidente degli U.S.A., oppure sia una specie di inspiegabile incarnazione del comico Gene Wilder, venuto fuori misteriosamente dallo schermo durante una riproduzione del film Frankestain Junior.

Gene Wilder in “Frankestain Junior”
Robin Williams in “Hunter Patch Adams”

Che poi, se invece si trattasse di un medico alla Hunter Patch Adams, medico clown interpretato da Robin Williams, disposto a qualsiasi gag pur di portare il sorriso sul volto dei propri piccoli pazienti, potremmo anche dichiararci soddisfatti, apprezzando il nobile fine.

Ecco che questo medico che vuol guarire gli U.S.A., proprio come un abile illusionista, tira fuori dal cilindro una medicina portentosa: imposizione di dazi doganali a chiunque voglia far entrare nel vasto territorio yankee anche solo una bagattella. Con l’effetto che in pochi giorni la “borsa di Wall Street”, seguita a ruota dalle altre maggiori borse del Pianeta, si trasforma nella “clinica psichiatrica di Wall Street”, tra scene di panico e disperazione alternate a scene di immenso gaudio, queste ultime riservato ai pochi eletti pazienti che, notiziati dal medico della imminente immissione sul mercato dei dazi, novelli farmaci, e soprattutto del successivo ed apparentemente sclerotico annunzio della loro sospensione, hanno speculato mirabilmente guadagnando fino al 2.100 %.

“Cashflow”, gioco da tavolo di Robert Toru Kiyosaki

Che si tratti di insider trading o di aggiotaggio è roba da tecnici esperti ed al misero profano poco importa, liquidando più semplicemente la cosa come follia, ricordando, però, che, più o meno, le politiche protezionistiche siano storicamente superate da tempo e si siano economicamente rivelate inefficaci ed, anzi, negativamente inflative. Sorge un dubbio: di follia, si tratta, o di invidia? Perché, suvvia, siamo onesti e sinceri: chiunque avesse avuto una tal ruffiana spiata, investendo 1 avrebbe potuto guadagnare 2.100, mica bruscolini. Ed allora la follia sarebbe stata quella di non giocare al Piccolo finanziere, versione casereccia e del tutto fantasiosa – giusto per rendere meglio l’idea – del più famoso Cashflow (guarda un po’, inventato dallo speculatore finanziario statunitense Robert Toru Kiyosaki, guru del filosofico “arricchirsi velocemente”, autore di qualche decina di libri sul suo business, alcuni dei quali – òps – scritti a quattro mani con tal Donald Trump) con il proprio pur modestissimo ed antico salvadanaio di terracotta colmo di spicciole monetine.

“Per decenni il nostro Paese è stato saccheggiato, depredato e violentato da nazioni vicine e lontane, sia da alleati sia da nemici” aveva precisato il medico Trump, presentando la struttura chimica del miracoloso farmaco – dazio. Una dichiarazione imbarazzante per chiunque abbia avuto a che fare con quel Paese. Compresi i tradizionali alleati nella Vecchia Europa, che secondo il medico Trump “…ha fatto fortuna alle nostre spalle…”. Peraltro, sarà sempre perché chi scrive è ignorante e profano, la spiegazione del medico Trump si è capita poco, poiché sembra, invece, che siano parecchi quelli che accusano proprio gli yankee di aver saccheggiato, depredato e violentato…boh…

Che avesse ragione Tim Walz, candidato come vice della Kamala Harris nella sfortunata corsa alla Casa Bianca, quando aveva avvisato che Trump ed i suoi altrettanto volgari galoppini sono weird, cioè “strani”? Una definizione spiritosa ed elegante, ma ben calzante. Di certo non è normale fare della provocazione e dell’insulto, della semplificazione estrema e del rifiuto del linguaggio istituzionale, un modello comunicativo. Non ci sarebbe da aspettarsi altro da un Presidente che, per i suoi oppositori – compreso qualche sparuto repubblicano – che hanno provato ad argomentare il dissenso verso i dazi, ha coniato un neologismo, panican, crasi tra panic e republican. A loro si è rivolto via social con una frase che trasuda tutto il fastidio verso chi prova a rappresentargli elementi di preoccupazione: “Non essere un panican (il nuovo partito dei deboli e degli stupidi)!” E per comprendere meglio l’offesa, occorre precisare che quel panican starebbe per “codardo”. Forse anche per qualcosa di più volgare…

Siamo in piena indecenza comunicativa istituzionale. Strategia comunicativa apprezzata solo da chi, privo di adeguate conoscenze o delle tecniche per acquisirle, si affida alla social comunicazione, con pronta accoglienza e condivisione delle sue forme più qualunquistiche, nelle quali Drumpf giganteggia primeggiando.

Ma no, siamo seri. Nella questione dei dazi è solo scappato il lato amabilmente comico del Presidente che vuole rendere di nuovo grande l’America e cambiare il mondo, che in effetti ci ha tenuto a precisare che “…il mercato è fragile. Bisogna essere flessibili…”, affrettandosi a negoziati – pur separati – con i vari Stati, Cina compresa. Ci sta, ci si deve anche divertire, ogni tanto. Così anche chi sta scrivendo in questo momento può dirsi consolato e rincuorato. Che sollievo: prevalgono, al fine, la “flessibilità” e l’animo di “stabilizzare i mercati e l’economia globale”. Per chi, scribacchino titolare di questo blog, ama richiamare il primato del lògos o della più laica ragionevolezza, questa sì che rappresenta una bella soddisfazione. Ma se pur possa essere sufficiente a rincuorare il giocherellone che sta scrivendo, sorgono profondi dubbi che quel Paese, gli U.S.A., possa risollevarsi dalla sua decadenza con le medicine del suo Presidente. Tanto più che, tra un dazio e l’altro, annunzi e smentite, tra un ordine esecutivo ed un altro, parla di qua e minaccia di la, sono passati diversi mesi ed ancora non abbiamo capito un “dazio” o che “dazio” quello voglia fare.

In ogni caso, confidiamo che proprio la ragionevolezza continui ad illuminare quantomeno il Segretario al Tesoro U.S.A. Scott Bessent e di quello al Commercio Howard Lutnick, artefici di aver coperto quel lato comico di cui innanzi con un velo più consono al ruolo. Che poi, se Trump, cantando o no, voleva essere un duro, più che altro si è manifestato come un folle. Sarà che – si dice – la follia può anche essere lucida; ma pur sempre di stato di delirio di tratta. Ed allora c’è di che preoccuparsi.