È sempre tempo di laici politicamente impegnati.

A cadenze cicliche, puntuali come il migliore degli orologi svizzeri, c’è sempre chi si preoccupa di ricordare come sia giunto il momento e l’ora della presenza dei cattolici in politica.
Come se si trattasse di un impegno a tempo, a scadenza, quasi a termine.
Come se si potesse intendere la vita, la vita di ognuno, a compartimenti stagni, privi di collegamento rispetto alle poliedriche e molteplici situazioni e condizioni della quotidianità.
Come se si potesse distinguere tra vita e politica, intesa come interesse, cura e valorizzazione della vita stessa, trasformandola da solitaria esperienza individuale, propria di ognuno, in comune esperienza collettiva, propria della comunità in cui si svolgono e costruiscono storicamente quelle esperienze.
Come se ci si potesse disinteressare della condizione del tempo in cui si vive, oppure che di esso, del proprio tempo, della propria vita, della propria storia, comune a quelle di tante ed infinite altre, ci si potesse occupare solo occasionalmente.

Costituisce grave errore pensare di poter distinguere la fede che il cattolico professa dalla vita quotidiana.
Le attività personali, professionali, sociali, non costituiscono momenti autonomi rispetto alla vita da credente.
Non può esserci una vita spirituale distinta e separata da quella secolare, nel mondo.
Attraverso un’unica vocazione, ogni fedele è chiamato ad essere al tempo stesso membro della Chiesa e cittadino, totalmente e pienamente inserito nella società, di cui è animatore e costruttore.

Allora c’è sempre bisogno di cattolici in politica ed è sempre tempo di laici politicamente impegnati.
Guai ad opinare il contrario! Perché il contrario costituirebbe omissione alla propria fede.
Non è, forse, compito di chi si professa cattolico animare i propri contesti di vita attraverso una testimonianza di fede operosa?
Non è, forse, compito di chi si professa cattolico occuparsi di trasformare quella fede, i precetti cui vorrebbe ispirarsi, in attenzione e responsabilità per ciò che è più fragile?
Chi, se non proprio chi si professa cattolico, dovrebbe preoccuparsi della tutela della persona, della famiglia, di istruzione e formazione, di lavoro, dei più poveri, dei giovani, degli emarginati? Di tutelare la vita, sotto ogni forma ed in ogni momento? Di superare gli specifici ed egoistici interessi individuali in prospettiva della realizzazione di interessi generali, collettivi, comuni e condivisi? Di superare muri e steccati, contrastare ogni forma di divisione e lacerazione sociale, lavorando per quelle sintesi che consentono una crescita ampia e complessiva? Di favorire la crescita di un umanesimo culturale che ponga al centro di ogni riflessione l’uomo, la sua dignità, il suo valore, il suo ruolo nel piano della storia universale? Soprattutto, di attualizzare in ogni occasione la suprema legge universale dell’amore, prima e fondamentale consegna ed obbligo per ogni cristiano?
E perché mai chi si professa cattolico dovrebbe rinunziare ad esprimere idee ed opinioni, che siano coerenti con la propria fede?
E perché, ancor più, la Chiesa Cattolica dovrebbe rinunziare a guidare i fedeli laici a leggere i bisogni del tempo in relazione alla propria tradizione dottrinale?

Si tratta, allora, di non tenere distinto l’impegno più prettamente elettorale dalla chiamata di ognuno ad occuparsi della vita pubblica. Con ruoli e compiti differenti, attraverso diversità e complementarità di forme, livelli, responsabilità, a seconda delle capacità e qualità proprie di ognuno: dal più semplice contributo di idee, al più complesso ruolo di rappresentanza presso gli organi elettivi. Ai quali non ci si può certo improvvisare, richiedendo essi un maggiore ed elevato grado di competenze e responsabilità cui occorre prepararsi con umiltà. Esercitandosi anche al dialogo, strumento di costruzione di scelte condivise, senza però smarrirsi in forme di appiattimento culturale che vorrebbero negoziare i valori antropologici tipici della nostra fede solo perché di chiara ispirazione cristiana.

Quel periodico ciclico richiamo ad un maggiore impegno dei cattolici soffre un vizio di fondo: intendere l’impegno come limitato ai ruoli rappresentativi. Ai quali si concorre in base a regole elettorali e logiche di schieramento che vedono i cattolici, se coerenti con la loro fede, spesso pregiudicati. Perché le tensioni, vizi e difficoltà che l’attività politica indubbiamente provoca, rispetto alla molteplicità di interessi e situazioni in gioco, appaiono ben lontane da una idea di coralità e pur laica ecumenicità. Argomento in più per prodursi nello sforzo della comune missione apostolica dell’animazione del nostro tempo, il cui occuparsi è il fine precipuo dell’attività politica e che, dunque, non si può delegare.
Ciò che va rinnovato, piuttosto, è il senso di responsabilità nei confronti della vita, unitamente al valore della presenza e dell’azione quotidiana, cosciente e consapevole, contro ogni forma di apatia ed indifferenza, contro ogni passiva adesione a mode, costumi, abitudini, culture, che non siano coerenti con l’ideale che il cattolico afferma di professare e che invece deve promuovere in ogni ambito, occasione e momento, come vera ragione di vita.
Ciò che va rinnovato è il senso della partecipazione, che trasforma l’azione individuale in azione civica e sociale.

Serve agire con ostinata determinazione; serve il vivere sociale; serve costruire crescita e bene comune.
Se si volesse individuare un motivo che, solo uno, nel tempo attuale, reclami a gran voce l’impegno dei cattolici, quasi fosse una missione eccezionale, oltre la ordinarietà, andrebbe individuato nella sempre maggiore pericolosità della rete e dei social, che da importanti strumenti a servizio dell’uomo rischiano di diventare inutili veicoli di informazioni e modelli di vita scorretti.
L’importanza della rete, del mondo virtuale, non va esaltata rispetto al mondo reale, fatto di incontri e comunicazione diretta in piazze, uffici, scuole, luoghi di lavoro, associazioni, momenti di svago.

La vita va vissuta ed animata. Non è uno spettacolo cui assistere in poltrona; né si costruisce attraverso una tastiera sullo scrittoio o un touch di telefonino. L’alta diffusione ed il largo uso della rete, che coinvolge ormai tutti indistintamente, amplifica il massificante e multiforme relativismo rispetto a nobili ideali che valorizzano l’individuo e le sue aspirazioni.

Rispetto a tutti i fenomeni sociali, tanto più rispetto ad ogni epifania, presenza e voce dei cattolici sono fondamentali al fine di indirizzare le scelte, anche di indirizzo legislativo, che si rendono necessarie. È compito della politica al quale i cattolici non possono escludersi. Il loro impegno deve essere costante, assiduo, tenace, instancabile, coerente con la propria fede. Che nasce e trova fondamento nella lezione di chi, vero uomo, non si è arreso dinanzi alle difficoltà e tentazioni della vita, rendendosi addirittura sacrificio di salvezza per l’umanità. Provare a tendere a quell’esempio è compito di chi si professa cattolico, nella costante aspirazione a rendersi vero homo politicus per gli altri.

Pubblicato in Vivere In , 5-6/2019, pagg. 20 – 21